sei

DEDICATO A   …. 😉

 

Allora, Max, da dove comincio?

Cominciamo dalla TUA BELLA CASA PULITA.

Bella, la tua casa. Forse non la ricordo bene. Ricordo questa idea di una ricerca di raffinatezza senza sbavature. Tanto bianco. Cominciamo a sporcare quel bianco, ti va?

Facciamo un achrome stile Piero Manzoni, però dobbiamo sporcarlo con un po’ di merda d’artista. O preferisci un blu Yves Klein? Uno di quelli granulosi, però.

 

NO, USCIAMO. Usciamo semplicemente. Senza cinema, senza teatro. Senza libri.

 

Vorrei leggere quel libro su Milano di cui mi hai parlato. Quello sulla Milano viva delle periferie. Me lo presti? Leggiamone qualche paginetta insieme, poi usciamo.

 

Milano, nella mia zona bistrattata, è piena di disarmonie, a volte molto interessanti. Si potrebbe partire da qui. Ti piace di più viale Monza o via Padova?

Sono le mie strade, disarmoniche e interessanti. Due forti personalità.

 

FACCIAMO CHE IO SONO VIA PADOVA E TU VIALE MONZA.

Mi dirai: a Padova ci sono nato io. Solo che per te è già difficile immedesimarti in viale Monza. Che però è una bella strada, pensaci. Sempre meglio che mettersi in testa di essere via Montenapoleone o Bond Street (decisamente out).

 

In queste strade si possono fare cose interessanti e, volendo (ma noi non vogliamo), anche cose fighe. Tipo mangiare un kebab a mezzanotte in via Padova o comprare cocaina da un bel nero atletico alle tre del mattino di sabato in viale Monza.

Non cominceremo da lì. Non finiremo lì. Su questo siamo d’accordo, un po’ di sano snobismo ci vuole.

 

 

 

Scusa, Max. Mi ero  sbagliato. Ho preso una cantonata. Ho sbagliato strade.

Ieri sono uscito alla fermata Pasteur.

Di proposito. Quello è uno degli angoli più densi, più inquietanti di viale Monza. Ma ero stanchissimo. Ero lì col naso per aria, come un turista in cerca d’estasi, di una bella e salutare sindrome di Stendhal, nella chiesa di Santa Croce a Firenze. Guardavo i murales  e le scritte sulla casa di via dei Transiti. Guardavo le facce della gente. Il giovane con la barbettina seduto sulla panchina. Carino. Il gruppo di magrebini che discuteva in un angolo. Pittoresco. Ma niente estasi. A passo veloce mi sono diretto in via Padova.

La cosa più bella era un barettino malconcio, con qualche  tavolino e una deliziosa vetrina di paste. Niente estasi nemmeno lì.

La fragile decadenza, la frizzante mistura che di solito mi affascina, semplicemente non c’era. Non c’era in me. La sindrome di Stendhal non si cerca, si trova.

E poi tu mi hai detto con voce angosciata:”Io quei due artisti non li consosco”. E allora? Di nuovo affiora la tua esigenza di perfezione, di completezza. Mi sa anche che se non ti sei avvicinato a Piero Manzoni o a Yves Klein, non è un caso. Perché il bianco di Piero Manzoni non è il bianco della tua casa. È un bianco putrido. Il blu di Yves Klein non è il blu dipinto di blu. Vira verso lo skinpurple e supera di scatto il blu profondo di Bill Viola, intriso del sangue dei santi, sublime ma più rancido del rancido.

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Siamo lontani. Dobbiamo partire da  lontano, mi spiace. Partiamo da me, ti va?

In fondo adesso un po’ mi conosci, ti pare?

Partiamo dal mio lutto, la mia svolta. Stavo leggendo “La fine è il mio inizio”, quando Svetlano mi ha lasciato. In quelle circostanze, quando  la tempesta improvvisa ti scaraventa in pieno oceano, ti aggrappi a quel che trovi. La fine è il mio inizio: titolo incoraggiante.

Vediamo, allora, vediamo cosa ci propone. A un certo punto, verso la fine di un libro che non mi diceva granché, ecco che ti spunta il maggiolino. Verde. Non so se era verde. Me lo sono immaginato così.

 

Tiziano Terzani, durante il suo eremitaggio sulle montagne del Tibet, vede questo maggiolino che si arrampica su un filo d’erba. Era facile immedesimarsi, per uno che si trova in eremitaggio sulle montagne del Tibet. Non era come me, che mi ero fatto scaraventare dalla metropolitana fuori dalla fermata di Pasteur, alla fine di un venerdì  di una settimana pesantissima e mi costringevo a starmene col naso per aria di fronte alla casa dei murales, in cerca dell’estasi (da raccontare a te, per fini terapeutici tuoi).

Lui era in eremitaggio, sulle montagne del Tibet, situazione che di per sé facilita l’apertura del terzo occhio. E poi identificarsi in un maggiolino che arranca su un filo d’erba non è per niente difficile. Anche noi, noi tutti, noi esseri umani o bestiali, arranchiamo sul nostro bel filo d’erba che è la vita. Vediamo questo filo d’erba che si stringe sempre più …

 

Insomma, Tiziano Terzani si identifica. Il maggiolino arriva alla punta del filo d’erba, spicca il volo e si perde nel blu. Tiziano si identifica nel blu. Bello.

 

PER ME È STATA L’ILLUMIMINAZIONE. Anch’io ho avuto il mio maggiolino. Hai capito, no? Mi sono identificato, per quasi nove anni, nel mio maggiolino,  che nel mio caso era più un topino. Il topino aveva messo le ali (chi lo avrebbe detto) e aveva spiccato il volo, si era perso nel blu.

 

ERA ARRIVATO IL MOMENTO, ANCHE PER ME, DI IDENTIFICARMI NEL BLU.

 

 

Allora, Max, il punto è un altro. Non è la perfezione. La completezza o l’incompletezza. Il punto è identificarsi in un punto. Un punto che è fuori di noi. In via Montenapoleone o sulle montagne del Tibet. In via Padova o in Bond Street. In un posto qualunque. In un momento qualunque. In un amore qualunque. Amare quel punto. Identificarsi per un istante. Capire che quel punto è parte del tutto. Che noi siamo parte del TUTTO. E allora possiamo pure arrancare sul nostro filo d’erba, ma sappiamo che nel blu ci siamo persi e allo stesso tempo trovati.

È così SEMPLICE, Max. Credimi.